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30 novembre 2011 3 30 /11 /novembre /2011 15:11

 

 

Se il divario di genere
comincia in famiglia

di Maria Silvia Sacchi

La 27ORA-Corsera 30-11-2011


Finora ci si è concentrati sulle aziende. Errore.

Perché non è sul posto di lavoro che vanno cercate le cause delle persistenti differenze tra uomini e donne nel mondo del lavoro in Italia: è in famiglia. “È qui che dovrebbero essere semmai istituiti i comitati per le pari opportunità”, dice con un paradosso l’economista Andrea Ichino.

Perché la famiglia è il luogo in cui le donne continuano a lavorare enormemente di più degli uomini e a sostituirsi a loro quando il partner è occupato (ma non accade il contrario). Perpetuando in questo modo la catena: donne in sovraccarico nel tentativo di conciliare famiglia e lavoro-minori energie da dedicare all’ufficio-retribuzione inferiore agli uomini-minor convenienza a rimanere al lavoro alla nascita di un figlio. E così via.

Il punto è che, però, alle donne tutto questo non sta bene e gli uomini sono ben consapevoli dell’insoddisfazione delle proprie compagne. Ma in assenza di correttivi le famiglie non possono che continuare su questa strada: privilegiare il lavoro maschile più retribuito.

Insomma, siamo di fronte a “una condanna biologico-culturale senza compenso per le donne” affermano Alberto Alesina, professore di economia ad Harvard, e Andrea Ichino, professore ordinario di economia politica a Bologna, nelle conclusioni dello studio che hanno condotto per Valore D (associazione tra grandi imprese per promuovere la leadership femminile) e che sarà presentato oggi a Milano.

 L’analisi si intitola “Un dito tra moglie e marito” ed è stata realizzata con un doppio campione di coppie: un primo Ispo (l’istituto di ricerca sociale guidato da Renato Mannheimer) su 1.005 coppie rappresentative della popolazione italiana e con un tasso di occupazione maschile del 95% e femminile del 49%; e un secondo campione di 241 coppie di cui almeno uno/a in posizione dirigenziale in Valore D. Sono state poste le stesse domande a entrambi i componenti, che hanno dovuto rispondere per sé e per il proprio partner. “Volevamo valutare il grado di insoddisfazione delle donne non solo per ciò che loro stesse dicono – dice Ichino – e la cosa sorprendente è che nella coppia c’è una sostanziale condivisione delle opinioni”.

Non sufficiente, però, per produrre un cambiamento forte. E, infatti, le donne lavorano in casa il doppio degli uomini, anche includendo lavori casalinghi tipicamente maschili” e questo vale sia nelle coppie “normali” che nelle coppie “manager” perché il tema è culturale non di capacità economica. Se si guarda la somma di ore lavorate in una settimana la “palma” va alle manager: 67 ore tra quelle passate in ufficio e quelle dedicate al lavoro casalingo contro le 63,8 ore settimanali degli uomini pari livello, le 63 delle donne e le 60,7 degli uomini del campione Ispo. Nonostante questo, le donne contribuiscono al reddito familiare in misura minore: il 30% nel caso delle coppie Ispo, il 42% in quelle manager. Come detto, le donne sono più insoddisfatte dei propri partner, ma il gap “è assente quando i carichi e i redditi sono equilibrati e questo testimonia quanto sia centrale lavorare per eliminare gli squilibri – dice Ichino –.Anche perché – prosegue – in un’economia avanzata come quella italiana sono sempre meno i lavori per i quali è prevalente la componente fisica. Dunque, questa divisione dei compiti non ha più senso”. Ed ecco, allora, che Alesina e Ichino rilanciano la propria proposta – oggi anche allo studio del governo – di una tassazione del lavoro differenziata per uomini e donne: “poco più alta” per i primi e “sensibilmente più bassa” per le seconde. “La proposta si giustifica in base al principio secondo il quale è possibile diminuire la pressione fiscale media, a parità di gettito, tassando maggiormente i beni offerti o domandati in modo rigido rispetto a quelli flessibili – dice l’economista –. Un esempio è la benzina, per la quale sappiamo che anche in caso di aumento della tassazione non si avrà una riduzione dei consumi. Per quanto riguarda il lavoro, gli uomini non riducono la propria offerta quando la retribuzione diminuisce, mentre le donne sono estremamente sensibili al cambiamento del salario, soprattutto in aumento. È quindi possibile tassare poco di più gli uomini senza che peggiori il gettito e diminuire la tassazione delle donne che lavorando in maggior numero genererebbero un gettito non di molto inferiore all’attuale”. Concorda sulla misura Alessandra Perrazzelli, presidente di Valore D. “In questo modo il nostro Paese utilizzerebbe il talento femminile che oggi spreca – non dimentichiamo che le donne si laureano prima e meglio degli uomini e investono in formazione su se stesse – e si avrebbe anche un riequilibrio interno alle coppie che non farebbe male alle famiglie”.

 

 

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