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14 marzo 2013 4 14 /03 /marzo /2013 15:13

FRANCISCUS

13 marzo 2013

 
Annuntio vobis gaudium magnum;
habemus Papam:

Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Georgium Marium
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio
qui sibi nomen imposuit Franciscum

 

Benedizione Apostolica "Urbi et Orbi":

Fratelli e sorelle, buonasera!

Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo … ma siamo qui … Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.

E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi incominciamo e nel quale mi aiuterà il mio Cardinale Vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella! E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima – prima, vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.

[…]

Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!
 

 

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13 marzo 2013 3 13 /03 /marzo /2013 16:48

E' morta Teresa Mattei
scelse la mimosa simbolo dell'8 marzo

Aveva 92 anni era nata a Genova e si è spenta a Lari, in provincia di Pisa. Ha partecipato all'Assemblea Costituente, dirigente dell'Udi. 

di LAURA MONTANARI - Repubblica 13 marzo 2013

Lo leggo dopo

 

C'era lei dietro la mimosa diventata il simbolo della festa delle donne: "Scegliamo un fiore povero, facile da trovare nelle campagne" suggerì a Luigi Longo in un lontano 8 marzo. Teresa Mattei è morta oggi all'età di 92 anni a Lari, in provincia di Pisa dove viveva con la sorella Ida. E' stata la più giovane eletta nell'Assemblea Costituente, la chiamavano "la ragazza di Montecitorio". Era nata a Genova ed era l'ultima donna rimasta in vita fra le 21 che avevano partecipato alla stesura della Costituzione. 

Pensiero libero, donna indipendente. "La cosa più importante della nostra vita -disse una volta - è scegliere da che parte stare". Nel 1938 venne espulsa da tutte le scuole del Regno per aver rifiutato di assistere alle lezioni in difesa della razza. Nel 1955 fu "cacciata" dal PCI perchè contraria allo stalinismo e alla linea togliattiana.  

Laureata in filosofia a Firenze, era stata partigiana con il nome di battaglia "Chicchi", molto attiva nella Resistenza e nella lotta di Liberazione, faceva parte dei Gap e, partecipò anche ad attentati in quegli anni difficili (fornì per esempio,come lei stessa confessò in un'intervista al Corriere della Sera, informazioni sulle abitudini di Giovanni Gentile, poi assassinato a Firenze). Sorella di un martire della Resistenza, fu seviziata dalle Ss, le gesta del suo gruppo partigiano sono state raccontate al cinema da Roberto Rossellini in un episodio di "Paisà". E' stata candidata per il Pci all'Assemblea Costituente, nella quale aveva il ruolo di segretaria dell'ufficio di presidenza. "Era una donna di grande intelligenza e di vitalità, infaticabile - la ricorda Patrizia Pacini che per l'Altreconomia ha firmato il libro "La Costituente, storia di Teresa Mattei" - era in prima fila a battersi per i diritti delle donne, per l'uguaglianza dei cittadini, ha lavorato alla stesura dell'articolo 3, cardine della nostra Costituzione".  

Teresa Mattei ha trascorso gli ultimi anni di vita a Lari, un paese in provincia di Pisa. E' stata dirigente nazionale dell'Udi (Unione Donne Italiane). Nel 1966 è diventata presidente della Cooperativa Monte Olimpino a Como, che con Munari, Piccardo e altri realizzava e produceva film nelle scuole, fatti dai bambini. Con la Lega per i diritti dei bambini alla comunicazione ha promosso in tutto il mondo grandi campagne per la pace e la non violenza. In un video ai giovani di un circolo Arci qualche tempo fa disse: "Voi dovete essere meglio di noi, voi siete il futuro. Difendete la nostra costituzione, battetevi per un'Italia fondata sulla giustiza e sulla libertà". 
 

 

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7 agosto 2012 2 07 /08 /agosto /2012 17:42

 

GRANDE IMPRESA DELL'AZZURRA

Josefa infinita: è già in finale

La Idem, 48 anni e 8 Olimpiadi, vince la semifinale
della canoa sprint. Appuntamento al 9 agosto

GRANDE IMPRESA DELL'AZZURRA

Josefa infinita: è già in finale

La Idem, 48 anni e 8 Olimpiadi, vince la semifinale
della canoa sprint. Appuntamento al 9 agosto


Dal nostro inviato ARIANNA RAVELLI


LONDRA – Ai 250 metri, alzi la mano chi non ha pensato che l’avventura fosse arrivata alla fine. Ma Josefa Idem, 48 anni, ottava Olimpiade, è una che gioca con il tempo da una vita, ha scelto altri limiti e altri confini per declinare la sua passione. Così l’azzurra, che ha scelto di partire piano, nella seconda metà di gara ha dato vita a un recupero straordinario: non solo l’eterna canoista azzurra si è qualificata per la finale del 9 agosto, ma ha vinto la sua semifinale di fronte all’inglese Cawthorn. Avanti da protagonista. Come ha sempre detto di voler fare, perché altrimenti non ne varrebbe la pena, altrimenti meglio stare con Janek e Jonas, i figli che la seguono qui a Londra, meglio dedicarsi a scrivere le storie di altri atleti che ammira, la prima attività cui dedicarsi quando e se arriverà la pensione.

LA FINALE - E ora è possibile qualsiasi cosa, perché sottrarsi la possibilità di pensare in grande? In fondo è qui per colpa di quell’argento preso a Pechino con soli 4 millesimi di distacco (mezzo centimetro) dall’ucraina Usypenko-Radomska. Si ritroveranno in finale nel ventoso bacino di Eton. Assieme all’ungherese Danuta Kozak, che si è qualificata con il miglior tempo assoluto e di anni ne ha 25. Ma una come Josefa sa come fare.

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30 novembre 2011 3 30 /11 /novembre /2011 15:11

 

 

Se il divario di genere
comincia in famiglia

di Maria Silvia Sacchi

La 27ORA-Corsera 30-11-2011


Finora ci si è concentrati sulle aziende. Errore.

Perché non è sul posto di lavoro che vanno cercate le cause delle persistenti differenze tra uomini e donne nel mondo del lavoro in Italia: è in famiglia. “È qui che dovrebbero essere semmai istituiti i comitati per le pari opportunità”, dice con un paradosso l’economista Andrea Ichino.

Perché la famiglia è il luogo in cui le donne continuano a lavorare enormemente di più degli uomini e a sostituirsi a loro quando il partner è occupato (ma non accade il contrario). Perpetuando in questo modo la catena: donne in sovraccarico nel tentativo di conciliare famiglia e lavoro-minori energie da dedicare all’ufficio-retribuzione inferiore agli uomini-minor convenienza a rimanere al lavoro alla nascita di un figlio. E così via.

Il punto è che, però, alle donne tutto questo non sta bene e gli uomini sono ben consapevoli dell’insoddisfazione delle proprie compagne. Ma in assenza di correttivi le famiglie non possono che continuare su questa strada: privilegiare il lavoro maschile più retribuito.

Insomma, siamo di fronte a “una condanna biologico-culturale senza compenso per le donne” affermano Alberto Alesina, professore di economia ad Harvard, e Andrea Ichino, professore ordinario di economia politica a Bologna, nelle conclusioni dello studio che hanno condotto per Valore D (associazione tra grandi imprese per promuovere la leadership femminile) e che sarà presentato oggi a Milano.

 L’analisi si intitola “Un dito tra moglie e marito” ed è stata realizzata con un doppio campione di coppie: un primo Ispo (l’istituto di ricerca sociale guidato da Renato Mannheimer) su 1.005 coppie rappresentative della popolazione italiana e con un tasso di occupazione maschile del 95% e femminile del 49%; e un secondo campione di 241 coppie di cui almeno uno/a in posizione dirigenziale in Valore D. Sono state poste le stesse domande a entrambi i componenti, che hanno dovuto rispondere per sé e per il proprio partner. “Volevamo valutare il grado di insoddisfazione delle donne non solo per ciò che loro stesse dicono – dice Ichino – e la cosa sorprendente è che nella coppia c’è una sostanziale condivisione delle opinioni”.

Non sufficiente, però, per produrre un cambiamento forte. E, infatti, le donne lavorano in casa il doppio degli uomini, anche includendo lavori casalinghi tipicamente maschili” e questo vale sia nelle coppie “normali” che nelle coppie “manager” perché il tema è culturale non di capacità economica. Se si guarda la somma di ore lavorate in una settimana la “palma” va alle manager: 67 ore tra quelle passate in ufficio e quelle dedicate al lavoro casalingo contro le 63,8 ore settimanali degli uomini pari livello, le 63 delle donne e le 60,7 degli uomini del campione Ispo. Nonostante questo, le donne contribuiscono al reddito familiare in misura minore: il 30% nel caso delle coppie Ispo, il 42% in quelle manager. Come detto, le donne sono più insoddisfatte dei propri partner, ma il gap “è assente quando i carichi e i redditi sono equilibrati e questo testimonia quanto sia centrale lavorare per eliminare gli squilibri – dice Ichino –.Anche perché – prosegue – in un’economia avanzata come quella italiana sono sempre meno i lavori per i quali è prevalente la componente fisica. Dunque, questa divisione dei compiti non ha più senso”. Ed ecco, allora, che Alesina e Ichino rilanciano la propria proposta – oggi anche allo studio del governo – di una tassazione del lavoro differenziata per uomini e donne: “poco più alta” per i primi e “sensibilmente più bassa” per le seconde. “La proposta si giustifica in base al principio secondo il quale è possibile diminuire la pressione fiscale media, a parità di gettito, tassando maggiormente i beni offerti o domandati in modo rigido rispetto a quelli flessibili – dice l’economista –. Un esempio è la benzina, per la quale sappiamo che anche in caso di aumento della tassazione non si avrà una riduzione dei consumi. Per quanto riguarda il lavoro, gli uomini non riducono la propria offerta quando la retribuzione diminuisce, mentre le donne sono estremamente sensibili al cambiamento del salario, soprattutto in aumento. È quindi possibile tassare poco di più gli uomini senza che peggiori il gettito e diminuire la tassazione delle donne che lavorando in maggior numero genererebbero un gettito non di molto inferiore all’attuale”. Concorda sulla misura Alessandra Perrazzelli, presidente di Valore D. “In questo modo il nostro Paese utilizzerebbe il talento femminile che oggi spreca – non dimentichiamo che le donne si laureano prima e meglio degli uomini e investono in formazione su se stesse – e si avrebbe anche un riequilibrio interno alle coppie che non farebbe male alle famiglie”.

 

 

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5 luglio 2011 2 05 /07 /luglio /2011 19:54

Mi é piaciuto molto questo libro e ho pensato di segnalarlo anche in un articolo:

 

MICHELA MURGIA - AVE MARY - E la Chiesa inventò la donna - EINAUDI

 

E' un libro ben scritto e ricco di spunti per riflettere sulla figura della donna attraverso la storia della Chiesa e non solo. "E' un libro di esperienza, non di sentenza... Nello scriverlo ho pensato alle donne...ma anche agli uomini, sia quelli che ci vorrebbero belle e silenti, sia gli altri, quelli che vorrebbero amarci per come siamo e non per come tutti dicono che dovremmo essere".

 

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7 giugno 2011 2 07 /06 /giugno /2011 16:38

L'attenzione “balla” da uno stimolo all'altro senza mai focalizzarsi

 

MILANO - Il multitasking pare quasi obbligatorio, oggi. Un'occhiata allo smartphone per vedere se è arrivato un messaggio, il tablet a portata di mano per un giretto veloce su internet, il computer davanti agli occhi per lavorare come minimo su due o tre file contemporaneamente. L'attenzione saltella dall'uno all'altro, e per quanto possiamo essere convinti che questo non vada a scapito delle nostre performance, dovremo prima o poi ammettere che non è così. Perché il multitasking distrae, stando ai risultati di una ricerca pubblicata su Cyberpsychology, Behavior and Social Networking .

STUDIO – Genitori e insegnanti di quindicenni o giù di lì diranno che si tratta della scoperta dell'acqua calda, ma al solito ci sono poche certezze in medicina finché non si fanno esperimenti precisi e specifici. A farli stavolta ci hanno pensato due docenti della Carroll School of Management di Boston, Adam Brasel e James Gips, che hanno usato telecamere speciali per registrare lo sguardo di alcuni volontari a cui è stata concessa mezz'ora d'uso contemporaneo di televisione e computer, in completa libertà. «Ci aspettavamo che l'utilizzo simultaneo di questi due mezzi portasse a una riduzione dell'attenzione, ma non credevamo fino a questo punto – dice Brasel –. In 27 minuti i volontari in media hanno spostato 120 volte gli occhi da uno schermo all'altro, senza peraltro rendersene conto: quando abbiamo chiesto loro quante volte erano passati dalla TV al Pc e viceversa, hanno dichiarato di averlo fatto una quindicina di volte al massimo. Dieci volte meno rispetto a quanto era accaduto in realtà. E pur togliendo gli sguardi rapidi, di durata inferiore a un secondo e mezzo, restano comunque 70 cambi di attenzione nella mezz'ora di test».

DISTRAZIONE – I volontari dicevano di aver spostato l'attenzione sul computer durante gli spot pubblicitari, oppure di aver guardato la TV mentre il computer caricava le pagine web: di fatto, avevano saltabeccato da uno schermo all'altro a velocità impressionante, distraendosi continuamente da un mezzo di comunicazione all'altro. «Quando cerchiamo di prestare attenzione a più di un mezzo tecnologico, in realtà non ci riusciamo che per pochi secondi – dice Brasel –. Il nostro test prevedeva l'uso simultaneo di pc e TV, ma sappiamo bene che la realtà include anche telefoni, lettori mp3, navigatori che spesso gestiamo e teniamo accesi tutti assieme. Con il risultato, presumibilmente, di finire per essere ancora più incapaci di focalizzarsi sull'uno o sull'altro». C'è il rischio di rispondere a una telefonata brandendo l'iPod o cercare di mandare una mail con il navigatore, pare di capire. In effetti succede, anche perché molti di noi vivono vite multitasking: il 59 per cento degli americani ha dichiarato di tenere contemporaneamente accesi come minimo computer e televisione, ad esempio.

COMPUTER – Fra i due “vince” comunque il computer, spiegano i ricercatori: «Il 68 per cento delle volte lo sguardo dei nostri volontari si appuntava sullo schermo del pc – sottolinea Brasel –. Anche in questo caso però gli sguardi erano fugaci: sei secondi in media, contro meno di due secondi per ogni occhiata data alla TV. E non ci sono differenze fra giovani e meno giovani: anche gli over 40 avevano la stessa attenzione frammentata e alternata, distoglievano lo sguardo in media 100 volte in 27 minuti». Rarissimi i momenti di “concentrazione” superiore a un minuto: accadeva nel 2.9 per cento dei casi in cui si guardava la TV, nel 7.5 per cento delle volte in cui si seguiva lo schermo del computer. Dati un po' inquietanti, a pensarci bene. « L'era della comunicazione mono-canale è definitivamente tramontata – osserva il ricercatore americano –. Viene però da chiedersi che impatto abbia questo multitasking “frazionato” sulle capacità di comprensione o anche sulla possibilità di svolgere i compiti correttamente, ad esempio se il soggetto è uno studente, bambino o ragazzo». I nativi digitali sono certo più abituati al mordi e fuggi da un mezzo di comunicazione all'altro e magari saranno anche capaci di apprendere e immagazzinare informazioni tanto quanto chi si concentra con un obiettivo alla volta; ma i dubbi di Brasel non paiono per nulla campati per aria.

Elena Meli -

( da Corsera-7 giugno 2011)

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19 aprile 2011 2 19 /04 /aprile /2011 15:09
Il Sole 24 Ore
19 aprile 2011

Addio a Pietro Ferrero, industria in lutto

di Nino Ciravegna


Il primo barattolo di Nutella, raccontano gli amici, l'aveva rubato a sei anni, come ritorsione contro la severa tutrice tedesca. Forse l'unico atto di protesta di una vita intensa, nel segno del dovere e della passione. Per la Nutella, per i dolci inventati a pieno ritmo, per le attività produttive.

E passione vera per la bicicletta: Pietro Ferrero amava le due ruote, quando poteva si ritagliava un'ora o, nei pochi week end liberi, una mezza giornata per fare un giro sulle colline delle Langhe, a volte scavallando le Alpi Marittime, fino a Savona. E sulla bicicletta è morto ieri, in Sud Africa. Le dinamiche dell'incidente sono tutte da chiarire, ma sembra che Pietro, 48 anni, sia stato colpito da un malore, forse un infarto. Proprio come suo nonno, Pietro anche lui, morto per un colpo al cuore a soli 51 anni.
Pietro aveva casa a Cape Town, era in Sud Africa con il papà, il signor Michele (così tutti chiamano il patriarca dell'azienda) che a 86 anni continua a occuparsi di tutto, e una trentina di dirigenti: il paese di Nelson Mandela sta diventando sempre più importante per il gruppo, il team Ferrero era lì per decidere su un impianto che sta per nascere alle porte di Johannesburg. L'ultimo allenamento gli è stato fatale.

Pietro era nato l'11 settembre 1963, dal 1997 era Ceo, con il fratello Giovanni (di un anno più giovane), della Ferrero International, holding lussemburghese del gruppo che conta 38 società operative, 18 stabilimenti e oltre 20 mila dipendenti in quattro continenti. Pietro, più chiuso e introverso, si occupava di prodotti e produzione. Giovanni, più estroverso, da Bruxelles gestisce marketing e promozione.

I fratelli, sotto l'attento occhio del signor Michele, l'inventore dei Rocher (sfornati al ritmo di 900 pezzi al minuto), degli ovetti Kinder e di tutti i prodotti che hanno fatto la fortuna del gruppo, avevano cominciato a frequentare stabilimenti e uffici fin da quando avevano 12 anni. Seguivano come un'ombra il signor Michele, ne imparavano la maniacalità riservata alle prove dei prodotti, alla scelta degli ingredienti. E a evitare in tutti i modi ogni contatto con la stampa o il jet set: vita riservata, portata alle estreme conseguenze. Cerimonia civile con pochissimi invitati quando si era sposato nel 2003 con Luisa Strumia, di Sommariva Bosco, una manciata di chilometri da Alba, cerimonia religiosa in un santuario mariano sulle alture di Montecarlo, con altrettanta riservatezza. Si erano presi una villa sulle colline di Alba, dalle parti di Altavilla, per poi trasferirsi a Montecarlo per le scuole dei figli (Michael, 4 anni, Marie Eder di 3 e John, un anno e mezzo). Pietro si divideva tra le due città, con l'elicottero o con auto potenti, altra vera passione.

Pietro si era laureato in biologia a Torino, dopo che nel 1975, nel pieno della stagione dei rapimenti, il papà aveva costretto i figli a trasferirsi a Bruxelles. Aveva cominciato fin da subito a occuparsi della parte produttiva, gestiva con attenzione, tra le altre cose, Soremartech, la subholding della famiglia proprietaria di tutti i brevetti del gruppo e vero e proprio centro di ricerca e sviluppo. E con il passare degli anni Pietro aveva sviluppato un interesse anche per la finanza, specializzazione guardata sempre con insofferenza dalla famiglia Ferrero. Passione per la finanza che lo aveva portato a entrare nel consiglio di amministrazione della Ras, nel consiglio consultivo di Deutsche Bank e, fino all'ottobre 2002, nel cda di Mediobanca. Tanta finanza, ma senza mai la tentazione di entrare in Borsa, vista come il fumo negli occhi dal signor Michele e tutta la famiglia, anche se la Ferrero è sempre citata come esempio virtuoso che farebbe un gran bene a Piazza Affari e ai risparmiatori.

La Ferrero negli ultimi mesi era entrata sotto i riflettori mediatici quando era stata tentata dalla cordata per il colosso Cadbury (finito nel nulla, si dice, per l'opposizione del signor Michele, mentre i figli sembravano tentati) e per Parmalat: in questo caso sembra che il patriarca fosse interessato per le possibili integrazioni di prodotti e di forniture della materia prima, mentre i figli avrebbero tentennato, preferendo la strada della crescita per sviluppo interno. E in entrambi i casi a mediare è stata, come sempre, la mamma Maria Franca, 70 anni, vero punto di sintesi della famiglia.
Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ieri ha reso onore a Pietro definendolo «un imprenditore di valore e un uomo lungimirante. Non ci sono parole per esprimere il nostro dolore. Scompare uno tra i più grandi rappresentanti del capitalismo italiano. È una perdita grave per tutto il Paese».

Tantissime le dichiarazioni di cordoglio di politici e amministratori: secondo il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota, «scompare un manager capace e un uomo di raro spessore. Mi stringo a nome di tutti i piemontesi intorno alla famiglia, simbolo di grande dedizione al lavoro e di grandi valori».


19 aprile 2011
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15 aprile 2011 5 15 /04 /aprile /2011 13:21

Il 1 aprile 2011, all’interno del ciclo di conferenze della Fondazione Mirafiore (Tenuta Fontanafredda), ho assistito all’intervento di CATIA BASTIOLI. Una donna, una scienziata, decisamente in gamba e capace di trasmettere nozioni scientifiche in modo chiaro e comprensibile per tutti. Prima di dire cosa ha detto merita conoscerla e qui di seguito riporto quanto presente in Wikipedia:

E’ nata a Foligno il 3 ottobre 1957, è una scienziata inventrice delle bioplastiche. E’ laureata in Chimica presso l’Università di Perugia, inizia  giovanissima a fare ricerca nel campo delle economie sostenibili e delle energie alternative, dei materiali biodegradabili e risorse rinnovabili. Ha depositato 90 brevetti base e 900 brevetti internazionali, tra questi il Mater-Bi, materiale di origine vegetale usato nel confezionamento di sacchetti completamente biodegradabili per la raccolta rifiuti.

Nel 1993 entra in Novamont spa, azienda chimica di cui diventa amministratore delegato, portandola a diventare produttore leader mondiale di prodotti biodegradabili utilizzando materie prime vegetali e fonti rinnovabili a basso impatto ambientale. Oggi con le bioplastiche, oltre ai sacchetti, si producono posate, piatti, bicchieri, giocattoli, vaschette alimentari, pannolini biodegradabili. Nel 2007 è insignita del premio Inventore europeo dell'anno per il suo brevetto per i sacchetti di origine vegetale Mater-Bi. Un sacchetto in plastica per decomporsi impiega dai 100 ai 400 anni, un sacchetto in Mater-Bi si dissolve nell'aria in poche settimane. Nel 2008 riceve la laurea honoris causa. Questa la motivazione del conferimento: "La Dottoressa Catia Bastioli, Amministratore Delegato di Novamont SpA, autrice di rilevanti contributi scientifici sia sotto forma di pubblicazioni che di brevetti internazionali, ha contribuito a creare una cultura industriale particolarmente sensibile ai problemi di impatto ambientale e di eco-sostenibilità dei processi produttivi, curando inoltre la formazione di un nucleo di ricercatori dotati di una ricca preparazione multidisciplinare nel settore delle bioplastiche. Per questi motivi il Consiglio di Facoltà ha deciso di conferirLe la Laurea Honoris Causa in "Laurea Specialistica in Chimica Industriale".

A questo va aggiunto quanto sentito in quella sede. Bastioli ha parlato di ambiente sostenendo che è in atto da tempo un uso sconsiderato del pianeta e delle sue risorse. La soluzione è quella di riportare al centro dell’economia l’uomo, ritornando alla qualità. Quando si parla di ambiente e problemi connessi, ciò su cui bisogna concentrare l’attenzione sono questi punti:

1)   Come produrre materie prime

2)   Come utilizzare i prodotti

3)   Come usare i prodotti a fine vita

Questo significa avere una visione sistemica.

Ciò vale per ogni tipo di prodotto, dalla plastica all’energia nucleare. Come diceva Bastioli, il punto non è tanto farne uso quanto capire cosa fare quando i prodotti sono da buttare via.

In modo molto bilanciato ha parlato anche di nucleare, precisando che in un paese come il nostro non ha senso ricorrere a questa forma di energia perché richiede uno straordinario investimento economico che, vista la nostra attuale crisi, è controproducente. Una centrale nucleare richiede un decennio di costruzione per essere veramente a norma e, inoltre, prima di entrare a regime passano decenni. Non solo, le scorie dove vanno, come sono stoccate? E’ una domanda che ad oggi non conosce risposta. E quindi, in modo sensato e ragionevole, chiediamoci: VOGLIAMO L’ENERGIA NUCLEARE? NO, GRAZIE!

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